Presentazione mozione emergenza climatica e ambientale

Nel presentare la mozione che i gruppi di maggioranza propongono all’approvazione del Consiglio comunale, vi do tre notizie:

  1. Non ci sono più le mezze stagioni
  2. Fa molto caldo (in cima al Monte Rosa + 10° rispetto alle altre stagioni)
  3. Ce ne stiamo accorgendo con almeno vent’anni di ritardo

Quelle che erano (punti 1 e 2) chiacchiere da ascensore, si stanno rivelando drammatiche verità. Con un ritardo di vent’anni (punto 3)

Numerosi governi e numerose città europee e italiane stanno dichiarando in questi mesi lo stato di emergenza climatica, tema posto all’attenzione del mondo dal movimento giovanile Fridays for future ispirato alla figura di Greta Thunberg. I primi a muoversi, tra aprile e maggio di quest’anno, sono le nazioni del Regno Unito: la Scozia (28 aprile 2019), il Galles, l’Irlanda. Il Parlamento del Regno Unito ha approvato una mozione presentata dal Partito Laburista che dichiara l’emergenza, ma che non è sostenuta dal governo. Poi si sono aggiunti nel mese di giugno il Canada, la Francia, 18 città negli Stati Uniti tra cui Hayward San Francisco e New York, 17 città     in Australia, 384 in Canada, in Spagna la comunità autonoma di Catalogna, altre in Svizzera, in Germania, città come Costanza, in Nuova Zelanda, in Belgio.

In Italia, la prima è stata la città calabrese di Acri (29 aprile), quindi Milano (lo scorso 20 maggio), e poi Napoli, Lucca, Aosta, Torino, Cesena, il Consiglio Regionale della Toscana e la città di Padova e molte altre amministrazioni locali.

E poi le università di Catalunya, di Barcellona, di Bristol, di Newcastle, di Madrid…

In Senato la mozione presentata da Pd e Leu è stata a inizio giugno bocciata dalla maggioranza governativa, con un clamoroso autogoal dei 5Stelle, che sui temi ambientalisti sono nati. Ora è in corso la preparazione di una nuova mozione alla Camera dei Deputati, che punta a superare la sottovalutazione del tema verificatasi in Senato, tanto più che l’Italia si candida ad ospitare l’anno prossimo a Milano, la COP 26, cioè la Conferenza delle Parti che si incontrano annualmente, da metà degli anni 1990, proprio per analizzare i progressi nell’affrontare il fenomeno del cambiamento climatico, per negoziare il Protocollo di Kyōto, per stabilire azioni giuridicamente vincolanti per i Paesi sviluppati nella riduzione delle loro emissioni di gas serra.

Ma se vent’anni fa era ancora possibile che qualche leader (non particolarmente attento…) non sapesse niente dei mutamenti climatici in corso, o non fosse stato avvertito dei tempi stretti che ci separano da una catastrofe irreversibile, oggi questo non è più possibile. Tutti sanno. Nessuno può dire di non sapere. Sanno benissimo quello che sta per succedere – gli allarmi degli scienziati sono chiarissimi – ma sono immobilizzati dalla loro incapacità di pensare e di fare. Di pensare un mondo diverso da quello che conoscono e di fare quello che va fatto per sventare o mitigare la catastrofe incombente, che non lascia molte scelte: si tratta di invertire rotta di 180 gradi.

Di cosa stiamo parlando?

L’emergenza per il clima non è lo stato di emergenza definito dalla Legge 225/92 che per far fronte a un disastro assegna alla protezione civile, per periodi limitati, poteri di deroga ad alcune delle leggi vigenti. E’ un’emergenza più profonda, generale e duratura, che nasce dalla consapevolezza che mancano pochi anni al momento in cui il cambiamento in corso diventerà irreversibile, rendendo il pianeta, nel giro di pochi decenni, invivibile per tutti.

Quell’emergenza è un obiettivo politico, tanto semplice quanto drastico: tutto ciò che concorre a perpetuare o aggravare i cambiamenti climatici in corso va bloccato nel più breve tempo possibile e tutto ciò che consente di contenerne il trend va realizzato al più presto.

Tutti gli altri obiettivi di ordine sociale ed economico vanno subordinati a questa regola, bilanciando gli inconvenienti a cui questo cambio di passo può dar luogo con i benefici che se ne possono ricavare. Non è un principio astratto, a cui ci si può sottrarre con continui rinvii, come hanno fatto finora i politici di governo, ma spesso anche di opposizione. Alcune cose sono ben chiare: entità e tempi della riduzione delle emissioni climalteranti sono stati fissati dall’accordo di Parigi (sono probabilmente insufficienti, ma comunque superano gli impegni assunti da molti governi, che a loro volta non rispettano nemmeno quelli).

E’ un’emergenza che costa. I cambiamenti climatici costeranno 69 mila miliardi di dollari entro il 2100. È la stima che fa Moody’s Analytics ipotizzando che il riscaldamento arrivi alla soglia di due gradi centigradi, considerata il limite per arginare i suoi effetti più terribili. Se invece il riscaldamento sarà di 1,5 gradi, sempre più considerato dagli esperti come il limite di stabilizzazione del clima, costerà entro la fine del secolo 54 mila miliardi di dollari. Il nuovo rapporto evidenzia i danni arrecati alla salute umana, alla produttività sul lavoro, ai raccolti e al turismo. E prevede che l’aumento delle temperature “danneggerà universalmente la salute e la produttività dei lavoratori”, mentre eventi meteorologici estremi più frequenti “colpiranno maggiormente infrastrutture e proprietà fondamentali”.

Per questo, fondamentale è la decisione degli stati. Ma ad articolare quegli obiettivi deve pensare ciascuno al livello della sua competenza.

Qual è quindi il significato di questa dichiarazione d’emergenza?

Ha un significato in primo luogo politico. Di presa di coscienza della situazione, di decisione di cambiare rotta.

E’ ha un significato amministrativo, molto concreto: finché quegli obiettivi non saranno tradotti in cose da fare e in cose da non fare più, ad ogni livello considerati, rischiano di rimanere sulla carta. Di aggiungere parole alle parole.

E la traduzione la possono fare città come la nostra, rileggendo ogni futura scelta, urbanistica, ambientale, energetica, trasportistica…. alla luce di questa dichiarazione. Parliamo di riscaldamento, di traffico, di aeroporto, di Porta Sud… di quanto passerà sui nostri tavoli d’ora in poi. La Dichiarazione per l’adattamento climatica delle Green City, che sottoscriviamo con questa mozione, è un’ottima bussola al riguardo.

Lo possono fare le scuole, con studenti, genitori e insegnanti. Lo possono fare i quartieri.

La possono fare le famiglie e gli individui.

La conversione ecologica è innanzitutto questione di partecipazione. Non cambi il clima con una “dichiarazione”, ma cambiando stili di vita. E non si torna per questo all’età della pietra. Anzi, è proprio l’innovazione tecnologica, oggi, che ci permette di fare un salto oltre il baratro. Che va fatto.

Come dice la giovane svedese Greta Thunberg, la cui disobbedienza civile è all’origine della rivoluzione in corso per la speranza GLOBALE:

Vogliamo che agiate come se la nostra casa fosse in fiamme. Perchè lo è“.

 

Roberto Cremaschi, 8 luglio 2019