Intervento sull’ODG relativo alla sperimentazione del Taser presso la Polizia Locale di Bergamo

30 settembre 2019

 

Il Taser, ufficialmente qualificato come dispositivo assolutamente non letale, si rivela invece mortale in più di un’occasione difficilmente prevedibile in anticipo. Lo è ad esempio per un feto custodito dal grembo materno, anche nelle prime fasi della gravidanza quando quest’ultima non è ancora immediatamente identificabile. Lo è inoltre – come certificato da vari studi scientifici – per persone che presentano precedenti problemi di tipo neurologico o cardiaco. La stessa azienda Axon ha dovuto ammettere un elemento di rischio pari allo 0,25%, dunque niente affatto trascurabile.

È l’agenzia di stampa inglese Reuters – che ha segnalato il migliaio di decessi attribuibili all’uso del Taser – a raccontarci come ben un quarto delle persone colpite da elettroshock da Taser soffrisse di disturbi psichici o neurologici. Il Taser sembra dunque venir utilizzato con leggerezza nei confronti di persone difficili, agitate, irrequiete, che certo avrebbero bisogno di un altro tipo di approccio da parte di forze di polizia competenti e capaci. Per non dire che ben nove su dieci delle persone verso le quali il Taser è stato rivolto lungo i quasi 17 anni coperti dall’indagine erano disarmate.

Cosa significa ciò? Innanzitutto, che in moltissimi casi queste persone potevano essere affrontate con strumenti differenti, non a rischio di morte, senza con ciò mettere a rischio gli agenti delle forze dell’ordine. Ma, ancor più, significa che il Taser viene utilizzato, nella pratica di polizia americana che adesso si vuole imitare anche in Italia, per affrontare le situazioni meno pericolose. Vale a dire: là dove prima si sparava si continuerà a sparare. Il Taser non è un’alternativa innocua alla pistola a proiettile, bensì un’alternativa potenzialmente letale alle mani o agli strumenti di immobilizzazione quali le manette. Il rapinatore non verrà immobilizzato dal Taser. Ciò accadrà invece alla persona con disturbi mentali che dà in escandescenze o al ragazzo che manifesta contro la Tav, giusto per fare degli esempi.

Infine, il carcere. Se mai la sperimentazione del Taser dovesse allargarsi alle patrie galere, si tornerebbe indietro anni luce rispetto alla legge penitenziaria italiana del 1975 e a tutte le disposizioni internazionali che raccomandano di mettere a contatto con i detenuti esclusivamente personale disarmato. Non certo perché si voglia mettere a rischio l’incolumità degli agenti, ma perché chiunque conosca il carcere sa che l’ordine interno non si garantisce con la violenza ma con l’autorevolezza dell’istituzione. Le rivolte penitenziarie sono finite negli anni Ottanta. È stata la legge Gozzini, che ha previsto benefici penitenziari per chi sapeva rispondere alla fiducia accordata, a farle terminare, dove l’uso delle armi non faceva altro che accrescere la spirale della violenza. Pensare che per le città gireranno poliziotti armati di Taser dovrebbe solo accrescere il senso di insicurezza. L’ordine pubblico non può gestirsi con l’elettroshock.

Nel sottoscrivere l’ordine del giorno condiviso dalla maggioranza e che invita la Giunta a non adottare la sperimentazione delle Taser, ripropongo la dichiarazione rilasciata da Amnesty Italia a seguito della circolare emanata il 20 marzo dalla Direzione anticrimine, che ha avviato la sperimentazione della pistola Taser in sei questure italiane.

“Apparentemente, queste pistole sembrano avere tutti i vantaggi: facili da usare, efficaci e risolutive in situazioni complicate, tanto nei confronti di persone recalcitranti all’arresto quanto di prigionieri in rivolta o di folle aggressive. In più, portano con sé quella definizione rassicurante di ‘armi meno che letali’ o ‘non letali’.

Prima di mettere a disposizione delle forze di polizia questo tipo di arma andrebbe effettuato uno studio sui rischi per la salute a seguito del suo impiego e andrebbe garantita una formazione specifica e approfondita per gli operatori che ne verranno dotati, in linea con gli standard internazionali e in particolare con i Principi guida delle Nazioni Unite sull’uso delle armi da fuoco da parte degli agenti di polizia. Ma anche se venissero soddisfatte queste due richieste, il rischio di violazioni dei diritti umani non verrebbe affatto azzerato”.

Al capo della Polizia, Amnesty ha scritto:

“La conseguenza più grave che vediamo nel lungo termine è che le Taser vengano usate come arma di routine per far rispettare la legge in assenza di una minaccia di lesioni gravi o morte, dunque in modo non conforme agli standard internazionali sui diritti umani”.

La questione Taser ci interroga su quale vorremmo fosse il ruolo della polizia locale e il suo rapporto con i cittadini. Una riflessione che merita un altro spazio.

 

Qui l’ODG