L’acqua è un bene pubblico

6 aprile 2021

L’intervento sull’odg per la promozione delle casette dell’acqua

Installare casette dell’acqua significa confermare la qualità dell’acqua pubblica che viene erogata anche attraverso questi canali ma soprattutto combattere l’abuso di acqua confezionata, in particolare in contenitori di PET.

Occorre pertanto accompagnare l’iniziativa con una campagna promozionale che spieghi che l’acqua del rubinetto è buona e che il senso di procurarsela alla casetta è – a parte la piacevole ma non indispensabile gasatura, per cui ci sono anche altri strumenti, in realtà più costosi – è perdere l’abitudine di comprarla al supermercato.

Chi oggi compra l’acqua in bottiglia punta a due benefici: ha la possibilità di scegliere che tipo di acqua acquistare, con quale composizione chimica e di quale azienda. E, inoltre, l’acqua minerale in bottiglia ha solitamente un sapore più piacevole di quella del rubinetto. Essendo imbottigliata alla fonte non è prevista infatti per legge l’aggiunta di cloro, che ha notoriamente un sapore sgradevole, anche se non è provato che provochi alcun danno alla salute.

Ma ci sono anche forti criticità nell’acqua minerale in bottiglia: è soggetta a normative diverse rispetto a quella del rubinetto, per cui i controlli delle Ats nei confronti delle acque imbottigliate ammettono parametri più elevati di elementi dannosi per la salute come arsenico, nitrati, solfati, nitriti etc… Il costo dell’acqua imbottigliata è certamente più elevato di quella del rubinetto.

Ma il problema maggiore è costituito dall’imbottigliamento. Il 65% dell’acqua venduta è in contenitori di plastica e ogni anno finiscono tra i rifiuti 320-350 mila tonnellate di contenitori in PET. Il consorzio che si occupa del recupero degli imballaggi in plastica in Italia ne ricicla un terzo. L’impatto ambientale dell’acqua in bottiglia è ancora più alto se si considera che l’82% della stessa si sposta in tutta Italia lungo l’asse autostradale. Il riciclo stesso prevede un certo dispendio di energia e un certo impatto ambientale.

Pertanto, il target della nostra operazione è soprattutto il consumatore di acqua in bottiglia, che va convertito in consumatore d’acqua pubblica, da casetta o da rubinetto.

E questo significa, ampliando lo sguardo, ribadire il valore dell’acqua come bene pubblico.

Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto umano all’acqua, Pedro Arrojo-Agudo, l’11 dicembre 2020 ha espresso “grave preoccupazione” per la notizia che l’acqua, come una qualsiasi altra merce, verrà scambiata nel mercato dei “futures” della Borsa di Wall Street. E’ stata avviata a gennaio una petizione indirizzata al governo italiano, che ha raccolto in pochi giorni oltre 10.000 firme. Sei le richieste: prendere posizione ufficialmente contro la quotazione dell’acqua in Borsa, approvare la proposta di legge “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” ferma nella discussione alla Camera, sottrarre ad Arera le competenze sul servizio idrico e riportarle al ministero dell’Ambiente, investire per la riduzione drastica delle perdite nelle reti idriche, salvaguardare il territorio attraverso investimenti contro il dissesto idrogeologico, impedire l’accaparramento delle fonti attraverso l’approvazione di concessioni di derivazione che garantiscano il principio di solidarietà e la tutela degli equilibri degli ecosistemi fluviali. Questi sono interventi che avrebbero un senso nel Recovery Plan!

La quotazione dell’acqua in Borsa è la conclusione di processi di mercificazione e privatizzazione avviati da anni che rendono l’acqua un bene economico da scambiare, sottoponendola alle logiche del profitto. Un’operazione speculativa che rischia di rendere vana la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu del 2010 che ha posto l’accesso all’acqua potabile, e a servizi igienico-sanitari di base, tra i diritti umani universali e fondamentali.

Secondo i dati delle Nazioni Unite oggi un miliardo di persone non ha a disposizione acqua potabile mentre tra i tre e i quattro miliardi di individui non ne dispongono in quantità sufficiente.

La petizione sottolinea la necessità di intervenire anche in Italia a dieci anni dal referendum del 2011 con cui i cittadini si erano espressi (con il 95,8% dei voti nell’unica tornata di referendum che ha raggiunto il quorum negli ultimi 25 anni) contro la possibilità di privatizzare la gestione dei servizi idrici. Ora ci troviamo in una fase di stallo. La legge per la gestione dell’acqua pubblica è ancora ferma nella Commissione ambiente della Camera. E la politica va in senso opposto: dalla lettura del Piano di ripresa e resilienza si desume un rilancio dei processi di privatizzazione e il Recovery Plan allarga l’ambito di competenza di alcune aziende multiservizio quotate in Borsa che gestiscono servizi fondamentali come l’acqua, i rifiuti, la luce e il gas. Come la nostra A2A.

Un’altra strada è possibile: accanto ai processi di privatizzazione, negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a molte rimunicipalizzazioni della gestione del servizio idrico, come il caso di Parigi.

Perché l’acqua è bene comune.