La ringhiera di Porta san Giacomo

Colgo nel dibattito sulla “ringhiera” di porta San Giacomo tre spunti di riflessione e avanzo una proposta.

  1. Il ruolo dei sovrintendenti e il rapporto con le scelte amministrative. Il sovrintendente è una magistratura terza, un’authority, una struttura dello Stato che va consultata e deve esprimere una sua valutazione in casi di interventi (pubblici e privati) sul patrimonio artistico-culturale. Credo che anche al di là dell’interpretazione del ruolo – ci sono sovrintendenti bravi e altri meno, rigorosi o lassisti, pignoli o realisti, immagino – la funzione sia necessaria e abbia in diversi casi salvato il Bel Paese da orribili nefandezze volute da amministratori democraticamente eletti. Un (piccolo) caso come quello dell’intervento a porta San Giacomo ripropone il problema: chi decide? Se il potere del sovrintendente è assoluto, c‘è ben poco da fare, a meno di cambiare la normativa. Se c’è spazio di trattativa, fin dove arriva questo spazio? Quali “do ut des” un’amministrazione calcola prima di “litigare” con il sovrintendente?
  2. Il tema dell’eliminazione delle barriere architettoniche nei centri storici. Ha ragione l’artista Donizetti quando rileva che per la sua conformazione Città Alta presenta barriere ineliminabili. Non si può fare tutto. Ma non concordo proprio quando si chiede retoricamente “chi può salire in Rocca senza gradini?”, dimenticando che è bastata una pedana a porta Sant’Agostino per risolvere il problema – a suo parere inesistente – di far percorrere le Mura a chiunque e che il Campanone è stato attrezzato addirittura con ascensore per concedere a tutti di visitarlo. La sua conclusione per cui “secondo la filosofia che sta all’origine dell’assurda modifica della Porta San Giacomo bisognerebbe abbattere tutta la città e farne un comodissimo passeggio a mare” è davvero mortificante per chi le barriere le subisce e per chi cerca soluzioni per rendere accessibile a tutti la città che è di tutti.
  3. E qui si tocca un terzo tema: l’immutabilità e intangibilità del paesaggio storico. Bel tema, sempre attuale in Italia, così ricca di patrimonio storico. Ho letto commenti sull’intervento a porta San Giacomo che sembrano ignorare che quello che vediamo di porta San Giacomo è la sola facciata: il resto è stato abbattuto per fare spazio al viale delle Mura, con diversi successivi interventi di sistemazione dell’area. Paradossalmente, è bene ricordare che la realizzazione delle stesse Mura che tanto amiamo è costata lo sventramento dei Colli, l’abbattimento di centinaia di edifici e di chiese, tra cui perfino la Basilica Alessandrina, la scomparsa o l’occlusione di strade. E che i nostri nonni hanno “bucato” le Mura per costruire la funicolare e rendere le due città, alta e bassa, più accessibili. Siamo attenti al colore della ringhiera, ma la nostra città ha costruito nel secolo scorso un enorme seminario inglobando reperti romani la cui eco è rimasta solo nel nome delle vie…

Si può, insomma, introdurre il nuovo nell’antico? Un conto è il restauro fedele, ma nella ricostruzione di un edificio occorre attenersi a com’era – con evidente falso storico – o costruire come si costruisce oggi? Nel suo piccolo, l’eliminazione delle barriere architettoniche pone continuamente questo tema.

Infine, una piccola proposta per svelenire il confronto sulla ringhiera (come ha provato a fare con simpatica nonviolenta provocazione chi l’ha addobbata con panni stesi) e provare a guardare oltre. Consideriamo la soluzione adottata provvisoria e sperimentale. Chi non è convinto, proponga soluzioni alternative, anche radicalmente diverse. Il Comune raccolga le proposte, le selezioni in termini di fattibilità e ne faccia una mostra-referendum. Non costerà molto cambiare, eventualmente, la ringhiera e altro. Oppure ammettere, eventualmente, che si tratta del male minore. E magari in futuro questo esercizio lo facciamo – previamente – su altre opere.

Roberto Cremaschi

Consigliere comunale APF

Bergamo, 28 agosto 2021