28 giugno 2021
Nell’odg sull’emergenza sbarchi in Italia è contenuta la frase: “i cittadini italiani dotati di senso comune… si chiedono perché gli scafisti, trafficanti di esseri umani e all’origine di tante tragedie, e le ONG non possano essere fermati”. Basterebbe una frase del genere per respingere l’odg e cioè l’invito, di scarsissimo senso comune in verità, a fermare chi specula sulla vita e chi la soccorre, chi fa violenza e chi interviene a fermarla. Come se denunciassimo insieme un aggressore e il volontario della Croce Rossa che porta in ospedale la vittima!
Il titolo dell’odg recita “emergenza sbarchi”. Eppure, rispetto a cinque anni fa, il numero di richieste di asilo nell’Ue è sceso da oltre 1,3 milioni del 2015 a meno di 500 mila nel 2020. Ripetiamo i ritornelli senza accorgersi del tempo che passa e di cosa succede intorno a noi. Nemmeno la vicenda epocale della pandemia è servita ad aprire gli occhi.
Quest’anno, aggiornando i dati contenuti nell’odg, sono quasi 20mila i migranti sbarcati sulle coste dell’Italia da gennaio al 22 giugno. L’anno scorso, complice il lockdown nello stesso lasso di tempo c’erano stati 6.184 sbarchi. La pressione migratoria è tornata a crescere su tutte le coste meridionali del Continente. Possiamo meravigliarcene? La pandemia ha avuto degli effetti chiari sulle migrazioni nel Mediterraneo. Chiudendo i confini per motivi sanitari, tra marzo e maggio 2020 molti paesi europei tra cui l’Italia si sono di fatto isolati, credendo di scoraggiare l’arrivo di migranti che – era opinione diffusa – sarebbero stati comunque molto meno disposti a partire, per paura di essere contagiati. Oggi, a un anno di distanza, è chiaro che il trend innescato dall’epidemia è esattamente quello opposto. Tant’è vero che nel 2020, alla fine, sono sbarcate 34.133 persone. Pur trattandosi di numeri straordinariamente inferiori ai circa 150mila-180mila arrivi annui registrati tra il 2014 e il 2017, rappresentano comunque un dato significativo, visto il periodo sanitario in cui sono arrivati.
Per questo motivo i 27 leader europei hanno messo i flussi migratori in agenda al Consiglio europeo il 24-25 giugno. Senza particolari esiti, va detto, visto che nella risoluzione finale si legge che il Consiglio “invita la Commissione a utilizzare nel miglior modo possibile almeno il 10% della dotazione finanziaria dell’NDICI, nonché finanziamenti a titolo di altri strumenti pertinenti, per le azioni connesse alla migrazione, e a comunicare al Consiglio le sue intenzioni al riguardo entro novembre”. Ma senza neppure particolare convinzione, se è vero, come ha scritto Avvenire, che al tema sono stati dedicati otto minuti.
Senza chiedersi il perché, l’odg segnala che il maggior numero dei migranti arriva dal Bangladesh: è perché il Bangladesh è uno dei Paesi più poveri al mondo. Nel loro viaggio verso l’Europa i migranti incontrano la cosiddetta “rotta mediterranea”, oltre che quella più a nord che dalla Turchia li porta a passare per quella “balcanica”. Le loro destinazioni in Italia sono soprattutto le grandi città, dove i bengalesi trovano comunità ampie e molto radicate sul territorio a cui appoggiarsi. A ruota dei bengalesi in questo 2021 seguono i migranti provenienti dalla Tunisia, con 2.679 sbarchi. Questa nazionalità resterà alta nei numeri degli sbarchi per via della crisi economica accentuata dalla pandemia nella regione. Ovvero la vicinanza geografica e prospettive economiche deprimenti a causa della pandemia di Covid che ha sconvolto l’industria del turismo su cui fa affidamento circa il 10% della forza lavoro tunisina. E il fatto che l’Italia e molti altri paesi europei abbiano chiuso i canali di migrazione regolare quest’anno e l’anno scorso non ha permesso a molti giovani in cerca di lavoro di entrare regolarmente nell’Unione Europea, come lavoratori stagionali.
In realtà, non c’è un’emergenza sbarchi, ma c’è un’emergenza prima accoglienza, un sistema che in Italia vive sempre di “emergenze”. A fine luglio 2020 nei centri di accoglienza straordinaria a fronte dei 73.740 posti convenzionati erano registrate 59.326 presenze di migranti. Oltre 14mila posti disponibili e vuoti. Un abisso soprattutto per chi usa la retorica “dell’invasione”. Nessuna Regione italiana, Sicilia inclusa, era “satura”.
Il calo è rintracciabile anche all’inizio del 2021: al 28 febbraio sono presenti nel sistema di accoglienza dei migranti in Italia circa 78 mila persone. Di queste, 52 mila, circa il 67 per cento era ospitata nei Cas, solo 25 mila sono le persone presenti nei centri Sai – il Sistema di accoglienza e integrazione introdotto con la riforma Lamorgese. Segnale inequivocabile che la transizione dall’accoglienza straordinaria a quella ordinaria è ancora lontano dall’essere compiuto.
La soluzione è in Europa. In questa impasse, la linea su cui convergono i grandi paesi consiste nel ribadire e rafforzare l’esternalizzazione delle frontiere. Su impulso tedesco si rinnoveranno gli accordi con la Turchia. Si prevedono nove miliardi di spesa. Anche sul versante Sud si vorrebbe incrementare la medesima politica, già ispiratrice degli accordi con la Libia del governo Gentiloni-Minniti e di altri simili, come quello con il Niger. Qui la promessa è di otto miliardi aggiuntivi.
Questa politica, spesso giustificata con la chiusura dei governi del blocco di Visegrad, è in realtà assai più condivisa. Lo stesso Mario Draghi, purtroppo, l’ha convintamente sposata in occasione del suo ultimo incontro con Angela Merkel. Oltre all’indignazione morale per l’indifferenza verso le vittime di questa cinica impostazione alcuni rilievi di fatto consentono di affermare che si tratta di un passo sbagliato.
Anzitutto, non è vero che l’Ue sta sopportando flussi ingenti e incontrollabili di richiedenti asilo. Nel 2020 hanno chiesto asilo nell’Unione Europea circa 416.600 persone, oltre 200.000 in meno rispetto al dato 2019 (631.300). Soprattutto, si tratta di un terzo rispetto al picco toccato nel 2015-2016, quando il dato aveva raggiunto rispettivamente 1.321.000 e 1.259.000 casi. Saremmo in realtà in un momento favorevole per costruire nuove soluzioni, al riparo da urgenze impellenti. Lo stesso piano von der Leyen del settembre scorso insiste invece sui rimpatri (citati 88 volte) e sugli accordi con i paesi esterni, come principale strategia dell’Ue sull’argomento.
In secondo luogo, l’Italia non è affatto in prima linea, come si continua a ripetere acriticamente nel nostro ristretto cortile. Ha ricevuto nel 2020 21.200 domande di asilo (39% in meno rispetto al 2019), e si situa al quinto posto nell’Ue dopo la Germania (102.500), la Spagna (86.400, per effetto soprattutto degli arrivi dal Venezuela), la Francia (81.800) e la Grecia (37.900). Anche considerando i casi accumulati nel corso degli anni, siamo sotto la media dell’Europa Occidentale. Secondo l’Unhcr, a fine 2019 il nostro Paese accoglieva 3,4 tra rifugiati e richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti, contro circa 25 della Svezia, 18 di Malta, 15 dell’Austria, 14 della Germania, 6 di Danimarca, Grecia e Francia. Le convenzioni di Dublino andrebbero riviste, perché impongono obblighi di accoglienza disuguali ai governi nazionali, ma non perché l’Italia sia particolarmente penalizzata.
In terzo luogo, come italiani ed europei stiamo piegando la promozione dello sviluppo e la cooperazione internazionale all’obiettivo del controllo dei confini. I governi interessati ricevono fondi a patto che collaborino nel fermare i migranti, comprese donne, famiglie con bambini, persone in fuga da guerre e repressioni. Per di più, chiamiamo sviluppo l’acquisto di armamenti e il finanziamento di centri di detenzione. Ma anche quando si parla di affrontare le cause profonde delle migrazioni, si finge di ignorare un dato: lo sviluppo rallenta l’emigrazione solo nel lungo periodo. Nel breve termine si associa con un aumento delle partenze, perché sale il numero delle persone che accedono alle risorse per partire, crescono le aspirazioni, cresce l’istruzione, che a sua volta incentiva la partenza verso Paesi dove un titolo di studio rende di più. Si deve sostenere lo sviluppo dei popoli, ma non far credere che questo serva a contenere le migrazioni nei prossimi vent’anni.
Infine, c’è il dazio politico da pagare. Non solo gli accordi mettono di fatto l’Ue in una posizione subalterna rispetto agli Erdogan con cui si scende a patti, ma la stessa immagine dell’Europa come il faro dei diritti umani nel mondo si macchia di una pesante ipocrisia: forse accoglieremo i perseguitati, ma prima facciamo di tutto per impedire loro di arrivare alle nostre frontiere e chiedere protezione. Non è questa l’Europa sognata dai padri fondatori.